È incredibile quanto una scrittura che risale al 423 a.C. risuoni chiara e forte alle orecchie di un cittadino del terzo millennio. Ne Le Supplici di Euripide, la democrazia ateniese fa acqua da ogni parte, contraddice i suoi stessi valori, è populismo che finge di affermare i sacri valori della libertà. Si chiama democrazia ma assomiglia troppo ad un’oligarchia. Sembra lo strumento migliore per scansare le responsabilità e restare ad ogni costo sempre e comunque impuniti.
Le supplici sono le sette madri degli eroi uccisi alle porte di Tebe. Giungono ad Atene per implorare Teseo: recuperi i cadaveri dei vinti, dei figli uccisi, a costo di fare guerra a Tebe che non li vuole restituire.
Il discorso tanto caro a Euripide, che parla di pacifismo e amore tra i popoli, di dolore e di pietà di queste madri che hanno perso i figli, di un intero paese che ha perso i propri eroi, si intreccia con un sottile ragionamento politico, capace di rendere questa tragedia un unicum per l’antichità.
Un rito funebre che si trasforma in un rito di memoria attiva, un andare a scandagliare le ragioni politiche che hanno portato alla morte i figli e più in generale alla distruzione dei valori dell’umanesimo. Che siano le donne a compiere questo viaggio di ricostruzione e conoscenza mi è parso necessario e naturale.
Serena Sinigaglia