Tratto dai libri II, IV e VI dell’Eneide, lo spettacolo è il disegno corale di un impero dagli ampi confini, attraversato dalla vicenda del poeta latino e del suo alter ego Enea: la fuga da un mondo in fiamme, l’eredità dei padri e la fondazione di una nuova civiltà.
Virgilio, come Enea, è un eroe che porta nel nome un dolore insostenibile, riluttante eppure capace di assumersi l’onere di una missione immensa, sproporzionata per un solo uomo. Come Enea si carica sulle spalle un enorme fardello e con esso attraversa il bruciante processo della creazione, inseguendo vie di fuga dalle fiamme del proprio sentire. Per entrambi, fuggire dall’incendio significa mettere in salvo se stessi e ciò che resta di una tradizione a brandelli: significa una nuova creazione, che darà l’addio definitivo ai padri e al tempo stesso ne conserverà il dna.
Prima di morire, Virgilio chiese agli amici di bruciare l’Eneide perché incompleta. Non lo fecero. Così abbiamo potuto conoscere le imprese di Enea che, scampato alla distruzione di Troia, raggiunse per mare l’Italia, come tanti naufraghi di oggi. E nel Lazio, la sua stirpe diede origine al popolo romano. Sullo sfondo, le moltitudini, le migrazioni, la precarietà dell’esistenza, i capi, i pastori e i contadini, i trionfi e i fallimenti della politica, l’indifferenza e insieme la straziante mitezza del mondo naturale, la fragilità e insieme l’assurda ferocia degli uomini, la Storia che come avanza indifferente alle sofferenze degli individui, e l’esperienza, a caro prezzo pagata, del dolore: l’unico tra i nostri affetti a durare in eterno. Sul palco, anche un coro di voci europee ed extraeuropee in cui confluiscono musicalità colte e popolari, influenze orientali e occidentali, armene e bizantine, ma
anche la tradizione balcanica e quella macedone che conservano il germe misterioso dell’arte aedica e del coro pretragico, fino alle composizioni minimaliste del più lirico tra i contemporanei, l’inglese John Tavener. Sullo sfondo, un interrogativo: a che servono la poesia e la letteratura in tempi di violenza, a che serve cantare le gesta degli eroi?