Anonimasequestri


Leonardo Tomasi

Ven 4 Aprile 2025, 21:00
Info

un sequestro organizzato da Leonardo Tomasi
con Federico Giaime Nonnis, Daniele Podda, Leonardo Tomasi e un ostaggio
dramaturg e assistente alla regia Sonia Soro
disegno luci Elia Porcu
cura della produzione Simona Loi – Sardegna Teatro
si ringrazia Luigi Pusceddu e si ringrazia per la consulenza linguistica Francesco Cappai
Sviluppato in residenza presso Teatro Due Mondi
una produzione Teatro di Sardegna e Teatro Metastasio di Prato

 

vincitore Premio Scenario 2023

Arrabattandosi tra provini per fiction sul banditismo e spot turistici, due trentenni sardi provano a sbarcare il lunario cercando il ruolo più adatto a loro.
Ispirati da un contorto senso identitario, armati di berritas e birrette Ichnusa, i due organizzano finti sequestri di persona, in onore dei vecchi fasti della propria terra.
L’associazione culturale e a delinquere si rivela di successo, ma cosa accade quando il ruolo terroristico inizia a coincidere con la loro identità?
In scena c’è un tavolo, una banda di criminali, qualche pacco di patatine, delle bottiglie di Ichnusa e un ingombrante orgoglio sardo.
In un misto fra teatro documentario, sagre di paese e film poliziotteschi anni ’70, i banditi provano battute, studiano piantine, organizzano il piano per il prossimo colpo, davanti a un pubblico complice e sequestrato.
anonimasequestri è la richiesta di un riscatto identitario; è il rapimento di ignoti; il tentativo fallimentare di darsi alla macchia nella speranza di venire arrestati, segnalati, chiamati per nome.

Motivazioni della giuria, Premio Scenario 2023

L’identità come groviglio, corpo-a-corpo delle persone con vocabolari, geografie, immaginari, personaggi iconici, tic lessicali e chilometri e chilometri di mare, terra e luoghi comuni.
Per dipanare e ritessere compulsivamente questo groviglio, anonimasequestri evita di battere le strade del folklore e della reminiscenza, intersecando invece diversi piani di realtà, livelli di presentazione e rappresentazione, meccanismi metateatrali che portano a continui slittamenti – il tutto mettendo in campo una relazione col pubblico che è qui e ora, frontale, diretta, ma anche narrata, evocata, popolata di personaggi improbabili e delimitata da sollecitazioni video in continuo rimbalzo fra presa diretta e archivio.
II gruppo di lavoro costruito attorno a Leonardo Tomasi e alla dramaturg Sonia Soro, ci propone un percorso di scrittura scenica stratificato eppure comunicativo, una grammatica teatrale articolata eppure immediata e accessibile, una ricerca teatrale personale che ci spiazza senza per questo respingerci. Il gioco è serio e feroce, i componenti del gruppo dosano leggerezza e profondità, usano l’ironia non come scorciatoia verso la platea o come posizionamento cinico e consolatorio, ma piuttosto come mezzo di distacco analitico, come innesco di una risata cognitiva, quella che ride domandandosi cosa c’è da ridere: osservandoli non abbiamo modo di capire se per loro la sardità è appartenenza, trauma, orgoglio, vergogna, nevrosi o tutte queste cose e molte altre insieme. E così l’insularità, il senso di separazione e isolamento, la condizione di chi si sente inascoltato e distanziato, si fanno universali, lo stereotipo si rovescia in un ordigno da far esplodere da dentro, proprio come esplode una risata o un urlo o uno sparo, e il comico si rivela per quello che dovrebbe essere: un tragico raffreddato.

Manifesto criminale

“Hai mangiato?”
Nonna

Ogni banda criminale che si rispetti ha un motto, una dichiarazione d’intenti, una chiara identitm. Questo è dunque il nostro manifesto.

Il luogo.
L’abbiamo redatto seduti a tavola. Sopra ci abbiamo messo birra Ichnusa, patatine Crocchias, una bozza di sceneggiatura, una calibro 38. Abbiamo discusso, bevuto, mangiato, fumato, giocato a morra, guardato delle puntate di Distretto di Polizia. Il tavolo non è nemmeno apparecchiato. I fili della tecnica sono lasciati a vista, intrecciati, manca la tovaglia e il centrotavola, è pieno di briciole. Questo è lo stile, quello del non-finito-sardo, movimento stilistico architettonico proprio delle palazzine di provincia campidanesi, la cui costruzione non ha mai fine. Questa è la nostra identità. Non c’è il bagno e mancano le finestre.

Il piano.
Prima c’è il primo, poi c’è il maialetto e poi frutta secca, caffè, ammazzacaffè e il bicchiere della staffa. Si farà cena e si ricomincerà. Saremo lì, in queste nostre domeniche fra amici, dove faremo piani, studieremo cartine, ci daremo ruoli e nomignoli, citeremo Clerks, o Le Iene. A vederci da fuori potrebbe essere un cortometraggio. Il fascino romantico della balentìa, del pranzo nell’entroterra barbaricino dagli zii. A vederci da fuori. Ma nessuno si alza dal tavolo, perciò noi non ci vediamo da fuori.

Il sequestro.
Organizziamo sequestri di persona su commissione. Poi ci dividiamo il riscatto. Al resto ci pensa la nonna. Vitto e alloggio. Vi chiederà perché non state mangiando. Sequestrare una persona richiede impegno, il minimo è saper fare un bel sugo alla campidanese. Sequestrare una persona significa restare con lei, prendersene cura, parlarci sempre a volto coperto e camuffando la voce. Sequestrare significa essere sequestrati. Un’opera poetica, una dichiarazione d’amore. Nulla dovrà andare storto, ripasseremo la parte fino a saperla a memoria, fino ad immedesimarci. Poi faremo le nostre richieste.

Il riscatto.
Vogliamo parlare. Parlare di noi. Lo faremo in sardo, citando Gramsci e Grazia Deledda. Ogni tanto racconteremo qualche barzelletta. Alcune notizie sulla provincia, sul prezzo del latte e quella volta che abbiamo fatto l’autoscontro coi carrelli nel parcheggio del Carrefour. Le nostre gesta saranno quelle di nobili banditi, ci daremo alla macchia e giocheremo a briscola. Poi si farà una certa e dovremo andare. Forse ci saluteremo. E a un certo punto, all’improvviso, trascorse alcune domeniche senza vederci, appuntamenti fra provini, colloqui di lavoro, e seri impegni di vita, subentrerà la Sindrome di Sardegna, variante minore e meridionale del famoso fenomeno psicologico (Sindrome di Stoccolma), dove l’ostaggio si affeziona ai luoghi, anziché ai carcerieri. E dunque tornerete, e sarà di nuovo domenica. Tornerete a raccontarci gesta di anonimi banditi, a sequestrare la vita, a vederci da fuori.

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