Il colonialismo italiano è una storia rimossa e negata, che dura 60 anni e inizia già nell’Ottocento. Ma nell’immaginario comune si riduce ai cinque anni dell’impero fascista. Cose sporche sotto il tappetino: tanto erano altri tempi, non eravamo noi, chi se ne importa. È acqua passata, acqua di colonia, cosa c’entra col presente? Eppure ci è rimasta addosso come carta moschicida, in frasi fatte, luoghi comuni, nel nostro stesso sguardo.
Vista dall’Italia, l’Africa è tutta uguale, astratta e misteriosa come la immaginavano nell’Ottocento. Somalia, Libia, Eritrea, Etiopia sono nomi, non paesi reali, e comunque “noi” con “loro” non c’entriamo niente; gli africani stessi sono tutti uguali. E i profughi, i migranti che oggi ci troviamo intorno, sull’autobus, per strada, anche loro sono astratti, immagini, corpi, identità la cui esistenza è irreale: non riusciamo a giustificarli nel nostro presente. Come un vecchio incubo che ritorna, incomprensibile, che ci piomba addosso come un macigno.