Una persona può passare la sua vita a fare lo stesso lavoro, stare nella stessa relazione, vivere nella stessa città, senza mai farsi domande. Poi a un certo punto fa come un passo indietro, o di lato, si guarda da fuori e si chiede: perché sono qui? Quand’è che ho deciso che questo sarebbe stato il resto della mia vita?
Possiamo dirci di essere qui – nel nostro lavoro, nella nostra relazione, nella nostra città, in questo supermercato bloccati improvvisamente davanti a uno scaffale nella scelta impossibile tra due zuppe surgelate identiche – come conseguenza delle nostre storie passate, delle biografie, di dove siamo nati, delle scelte che abbiamo fatto nelle nostre vite fino a questa sera (“siamo qui perché è successo questo”); ma possiamo percepirci anche come punto di partenza del resto della nostra vita. E per passare dalla prima alla seconda modalità esistenziale, è necessario fare la cosa che come esseri umani siamo meno organizzati per fare: cambiare.
Il cambiamento fa paura, risveglia la nostra parte più fragile e conservatrice, che ha una solida lista di buone ragioni: “ormai è troppo tardi”; “ho investito troppo”; “non saprei cos’altro fare”; “da dove ricomincio”. Com’è possibile aprire un dialogo con questa parte di noi?