Non una semplice area verde, ma un nuovo progetto di agroecologia, una vera e propria visione alternativa delle aree rurali periurbane di Vicenza e del loro utilizzo, del loro rapporto con la città e con la popolazione che le abita. È questo quello per cui si impegnano ogni giorno gli attivisti e i cittadini che fanno parte dell’assemblea “cascina Carpaneda bene comune” e che, da due anni, organizzano il Carpaneda Ecofestival, tre giorni di appuntamenti tra agroecologia, storia orale, scienza partecipata e arte. Il festival, che si chiuderà oggi, per la prima volta organizzato grazie anche alla collaborazione del Comune che ha fornito le utenze, ha luogo proprio negli spazi verdi di fianco alla cascina che ancora non sono stati venduti a privati. Perché questo, in teoria, sarebbe il destino della cascina, la cui proprietà è del Comune di Vicenza: la vendita a privati e l’utilizzo per l’agricoltura tradizionale. C’è chi, però, come le associazioni che stanno lavorando in quello spazio, sta proponendo soluzioni alternative; che integrino la presenza dell’uomo con il rispetto dell’ecosistema naturale, con la biodiversità del luogo, con nuovi metodi di agricoltura, più sostenibili e rispettosi dell’ambiente. «Il festival nasce per far conoscere questo territorio, per fare in modo che venga difeso e tutelato, valorizzato nel modo giusto – racconta Davide Primucci, della Comunità vicentina per l’agroecologia -. Quest’anno si lavora sul concetto di scienza partecipata e arte, attraverso laboratori di storia orale, campionamenti di acqua e terreno, tavole rotonde. Uno dei temi che si portano avanti è quello del parco agricolo, cioè fare in modo che l’area della Carpaneda in senso vasto, non solo entro i confini della cascina, venga gestita e vincolata come un parco agricolo, per creare un territorio agricolo più sano nella sua gestione. Sono temi relativamente nuovi che stiamo cercando di portare sul tavolo dell’amministrazione, con cui vorremmo iniziare una conversazione concreta». Conversazione con l’amministrazione che, come accade spesso quando si tratta di burocrazia, vede un percorso piuttosto lungo. Se, infatti, sette ettari di terreno originariamente competente alla cascina sono già stati venduti a privati, togliere un immobile e un terreno dall’elenco dei beni alienati per darlo in gestione a un’associazione non è così semplice: dev’essere prima presentato un progetto che sia sostenibile anche dal punto di vista economico, e in questo caso lo stato della cascina, che richiede importanti interventi strutturali, lo rende ancora più complesso. E qui entrano in gioco i patti di collaborazione. «Durante l’assemblea pubblica di giugno – spiega Gloria Marini della Piccionaia, associazione che organizza il festival e supporta l’intero progetto – l’assessore alle attività produttive Cristina Balbi ci ha spiegato come funzionano i patti di collaborazione, e noi stiamo lavorando per presentarne uno che coinvolga sia la cascina che il territorio che ancora non è stato venduto, e la cui vendita al momento è solo “congelata”. È uno strumento che riguarda la gestione condivisa tra pubblica amministrazione e cittadini dei beni comuni, come servizi e spazi di valenza collettiva. Il progetto per l’immobile è quello di trasformarlo in un centro per lo sviluppo della cultura dell’agroecologia in modalità inclusiva, con l’utilizzo di competenze, strumenti e linguaggi alternativi, da quello artistico a quello agroecologico». «Per poter realizzare il festival senza pesare sulle casse comunali – prosegue Marini – abbiamo proposto il progetto “CARPINO CARpaneda” al bando europeo Impetus. Tra tutti quelli scelti per il finanziamento, il nostro caso ha suscitato particolare interesse, al punto che è diventato un caso di studio nell’ambito delle scienze partecipate».