Partiamo da un dato di fatto: cento anni fa Franz Kafka è morto, e su questo non ci sono troppi dubbi. Su tutto il resto i dubbi si sprecano, le contraddizioni piovono, le interpretazioni latitano, perché Kafka è un autore del paradosso.
In particolare chiediamoci: se Kafka è morto, noi come ce la passiamo? Con la dovuta pazienza, stiamo morendo anche noi, nel senso che probabilmente anche noi faremo la fine che ha fatto Kafka prima o poi.
Per le celebrazioni del centenario della morte di Franz Kafka, un’attrice e un attore, in un dialogo ironico, surreale e frammentatissimo col pubblico, analizzano e criticano il concetto stesso di celebrazione artistica, utilizzando l’immaginario kafkiano per attivare riflessioni sul nostro periodo storico tardocapitalista iperdigitalizzato, in cui la cultura ristagna sempre di più per l’influenza del branding, e la sperimentazione artistica si perde in un marasma di autobiografismo e ostentazione di sé.
KAFKA MORTO è un progetto performativo e comico sulla relazione tra arte e società, sulla possibilità della prima di leggere e raccontare la seconda.
Nel corso della sua breve vita Kafka si è inventato uno stile unico e completamente assurdo per raccontare le contraddizioni della sua vita e della sua realtà. Tanto che le sue intuizioni scavalcano il puro ambito letterario, e scavalcano anche il suo tempo, restituendoci, attraverso opere labirintiche e paradossali, la frammentazione, l’alienazione, la massificazione che avrebbero caratterizzato la nostra modernità.
Nel nostro tempo di iperproduzione consumistica l’arte ha inevitabilmente perso di consistenza sociale, e la nostra quotidiana ansia di significazione non concede spazio alla sperimentazione e ai conseguenti rischi culturali che comporta.
Ma su con la vita, che faremo comunque la fine di Kafka.