“Autoritratto” di Davide Enia

Tra memoria e identità collettiva, il nuovo spettacolo tratto dal libro appena uscito in libreria. Venerdì 21 marzo 2025 all’Astra di Vicenza, l’indagine intima sugli anni di piombo siciliani.

comunicato stampa

(Vicenza, 18 marzo 2025)

Uno spettacolo che fonde narrazione e teatro fisico, restituendo un’esperienza scenica intensa e stratificata. Autoritratto, il nuovo spettacolo di Davide Enia, va in scena venerdì 21 marzo 2025 al Teatro Astra di Vicenza alle 21.00: sul palcoscenico l’autore attore porta un’indagine intima e collettiva sugli anni di piombo siciliani e sull’impatto della mafia sulla coscienza di una generazione. 

“Non è mai stata affrontata per quello che è”, afferma Enia, riferendosi alla mafia come fenomeno sociale, psicologico e culturale. Nato dal bisogno di confrontarsi con la nevrosi collettiva che ha caratterizzato la Sicilia per decenni, Autoritratto è il racconto indagine di un trauma che la società ha cercato di rimuovere. L’indagine parte dal 19 luglio 1992, quando un’autobomba in via D’Amelio uccise Paolo Borsellino e la sua scorta, per arrivare alla tragica vicenda di Giuseppe Di Matteo, il bambino rapito e ucciso per mano mafiosa. Con una messa in scena essenziale e spoglia, Enia porta sul palco un processo di autoanalisi e confronto con la memoria, dando voce a chi ha vissuto in prima persona quegli eventi. Il suo teatro è un rito civile, un’esplorazione emotiva che invita il pubblico a interrogarsi sul proprio ruolo nella storia.

Dopo il debutto accolto con standing ovation a ogni replica al Festival dei Due Mondi di Spoleto, Davide Enia palermitano, scrittore, drammaturgo, interprete e regista, porta a Vicenza, all’interno della Rassegna Terrestri 24.25 de La Piccionaia per il Comune di Vicenza, Autoritratto. 

Il processo di analisi personale e condiviso dopo 32 anni

Il 19 luglio 1992, cinquantasette giorni dopo la strage di Capaci, un’autobomba squarciò via D’Amelio. Dopo Falcone, fu il turno di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta. Un’altra ferita indelebile nella storia del Paese, un’altra pagina di dolore incisa nel cuore della Sicilia. 

A 32 anni da quelle stragi, Davide Enia riporta alla luce quei giorni, intrecciando memoria e narrazione, per raccontare l’impronta indelebile lasciata da Cosa Nostra sulla vita delle persone, sulla città, sulla coscienza collettiva. Il suo è un Autoritratto che si fa specchio di un’intera comunità, costretta a fare i conti con la presenza costante del male, con l’ombra lunga della violenza e del silenzio. 

Il racconto di Enia che presenta Autoritratto

“Io non ho nessun ricordo del 23 maggio 1992. Non ricordo dove fossi, con chi, quando e dove ho appreso la notizia della bomba in autostrada che ha ucciso il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e alcuni agenti della scorta. I miei parenti, i miei amici, i miei compagni, tutte le persone che conosco hanno un chiaro ricordo di quel giorno. Io ho un vuoto che non si riempie. Le mie difese emotive hanno operato una rimozione tanto profonda quanto dolorosa. Ma non è la rimozione uno degli effetti della nevrosi? In Sicilia praticamente tutti abbiamo avuto, almeno fino alle stragi, un rapporto di pura nevrosi con Cosa Nostra. È un discorso che ha a che fare con la coscienza collettiva condivisa, con la pratica del quotidiano, con strutture di pensiero millenarie. Per diverse ragioni, da noi la mafia è stata minimizzata, sottostimata, banalizzata, rimossa o, al contrario, mitizzata. Ovvero: non è mai stata affrontata per quello che è. E, a questo sfocamento dell’oggetto da studiare, è corrisposta una inconscia introiezione di quelle identiche modalità di comportamento, stesse pratiche, simili scatti emotivi. Per uno sguardo che indugia su un particolare, a Palermo può partire un aggàddo, una rissa. Il padre che impone al figlio l’iscrizione a una data facoltà universitaria moltiplica la logica del patriarca cui si deve obbedire. La difficoltà di nominazione del desiderio e la conseguente consegna alla dittatura del silenzio rende la logica del Potere pronta ad aggredire e a imporsi con maggiore facilità. Questo è quindi uno dei problemi che abbiamo con Cosa Nostra: in una maniera dolorosa e sconcertante, a volte la mafia rappresenta uno specchio della nostra vita familiare, dei nostri processi decisionali e operativi, del nostro modo di osservare il mondo e intendere le relazioni, del nostro rapporto con la religione. Sono tutte operazioni che scavano a livello inconscio, e che proprio nella comune base linguistica creano le prime cicatrici emotive. In una culla culturale in cui «’a megghiu parola è chìdda ca ‘un si dice”», la miglior parola è quella non detta, che si configura come prima soglia dell’omertà, affrontare per davvero Cosa Nostra significa iniziare un processo di autoanalisi. Non volere quindi capire in assoluto la mafia in sé, quanto cercare di comprendere la mafia in me. Questo assunto configura così una necessaria intelaiatura biografica nella costruzione del testo. A Palermo tutti quanti abbiamo pochissimi gradi di separazione con Cosa Nostra. Il primo morto ammazzato l’ho visto a otto anni, tornando a casa da scuola. Conoscevo il giudice Borsellino, abitava di fronte casa nostra, sono cresciuto giocando a calcio con suo figlio. E padre Pino Puglisi, il sacerdote ucciso dalla mafia, era il mio professore di religione al liceo. Come me, i miei amici, i miei compagni, i miei concittadini, tutti quanti abbiamo toccato con mano la mafia. Tutti possediamo una costellazione del lutto in cui le stelle sono persone ammazzate da Cosa Nostra. Ecco una costante dei palermitani: sentirsi ovunque costantemente in pericolo. La nevrosi è inscritta nel nostro orizzonte degli eventi.
Lo spettacolo poi prenderà in esame un caso particolare, un vero e proprio spartiacque nella coscienza collettiva: il rapimento e l’omicidio di Giuseppe di Matteo, il bambino figlio di un collaboratore di giustizia, rapito, tenuto per 778 giorni in prigionia in condizioni spaventose e infine ucciso per strangolamento per poi venire sciolto nell’acido. Una storia disumana che si configura come l’apparizione del male, il sacro nella sua declinazione di tenebra. Siamo in presenza dell’orrore, di una ferocia smisurata, di una linea di azioni così abiette da essere impossibile ogni aggettivazione. E su tutto vibra il sacrificio di una vittima innocente. La verticalità della vicenda ha in sé tutti i requisiti della tragedia, soprattutto nella formulazione di domande che non possono avere risposte. Gli strumenti linguistici a disposizione per affrontare questo lavoro sono quelli che il vocabolario teatrale ha costruito nella mia Palermo: il corpo, il canto, il dialetto, il pupo, la recitazione, il cunto. È dentro questo linguaggio circoscritto che questo problema linguistico va affrontato, sviscerato, interrogato, risolto. Questo nuovo lavoro è una tragedia, una orazione civile, un processo di autoanalisi personale e condiviso, un confronto con lo Stato, una serie di domande a Dio in persona. Lo spazio scenico così non può che essere il teatro vuoto: via le quinte, via i fondali, via tutto. Resta la nudità di una struttura eletta come luogo della rappresentazione. Il teatro svuotato diventa così il correlativo oggettivo dell’inconscio, sia individuale che collettivo. Le mura, le assi, i pilastri diventano il fondo su cui si depositano le ferite, i traumi, le vergogne, le rimozioni. Lo spazio vuoto apre all’evocazione del tempo della memoria, sia del singolo che della comunità. È il campo di forza in cui è possibile ricostruire un immaginario, risignificando lo spazio, lo sguardo, il silenzio, la parola.
Per questo, questo rituale è un autoritratto al contempo intimo e collettivo”. Davide Enia

Dal libro alla scena: il viaggio di Autoritratto e del suo autore

Lo spettacolo trae origine dal libro Autoritratto. Istruzioni per sopravvivere a Palermo (Sellerio, 11 marzo 2025), un’opera, appena uscita in libreria, che unisce il punto di vista personale dell’autore con le testimonianze di agenti della DIA, compagni di scuola e cittadini palermitani. Il testo si muove tra cronaca, autobiografia e riflessione sociale, trasformando il racconto in un’indagine collettiva sulla mafia e sulla sua pervasività nel quotidiano.

Davide Enia (Palermo, 1974) è drammaturgo, regista, attore e scrittore pluripremiato, artista dal 2024 in produzione al CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia. Vincitore dei principali riconoscimenti teatrali italiani (Premio UBU, Premio Tondelli, Premio ETI, Premio Mezzogiorno, Premio Gassman) ha scritto e interpretato spettacoli come Italia-Brasile 3 a 2 e L’Abisso, e pubblicato i romanzi Così in terra e Appunti per un naufragio per Sellerio. La sua poetica si muove tra teatro di narrazione e indagine civile, con un linguaggio che fonde dialetto, canto e corpo. Autoritratto è frutto di una coproduzione CSS, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Accademia Perduta Romagna Teatri, Festival dei Due Mondi con il patrocinio della Fondazione Falcone.

Interrogarsi sull’essere umano con la Rassegna Terrestri

Il programma della rassegna Terrestri 24.25 proseguirà dopo Autoritratto (21 marzo 2025), con l’ultimo appuntamento del cartellone. Anonima Sequestri di Leonardo Tomasi, il 4 aprile 2025, vincitore del Premio Scenario  2023, esplorerà l’identità attraverso meccanismi metateatrali. Fuori abbonamento, la rassegna Terrestri ospiterà lo spettacolo The Doozies (23 aprile 2025) con Marta dalla Via e Silvia Gribaudi, organizzato dalla Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza all’interno della rassegna Luoghi del Contemporaneo Danza.

Biglietti e abbonamenti

Costo dei biglietti per la rassegna Terrestri 24.25: € 15 intero; € 13 ridotto; € 10 ridotto gruppi (minimo 10 persone); € 7 ridotto studenti

Informazioni e prevendite: Ufficio Teatro Astra, Contrà Barche 55 – Vicenza. Tel. 0444 323725 info@teatroastra.it 

ufficio stampa

Natascha Baratto
La Piccionaia Centro di Produzione Teatrale
+39 347 0832757 – nat.baratto@piccionaia.org

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